Sferocitosi ereditaria

GUIDA PRATICA PER IL PAZIENTE CON SFEROCITOSI EREDITARIA

A cura dell’ U.O. Ematologia,  U.O.S. Fisiopatologia delle Anemie

Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

La Sferocitosi Ereditaria

La sferocitosi ereditaria (SE) è una forma di anemia congenita da difetto di membrana del globulo rosso. Essa è causata dalla mancanza o disfunzione di una o più proteine che compongono il citoscheletro dei globuli rossi, il cui ruolo consiste nel conferire alla cellula la sua particolare morfologia unitamente ad una elevata deformabilità ed elasticità.

La SE è caratterizzata da globuli rossi di forma sferica (sferociti), con una ridotta superficie ed un ridotto rapporto volume-superficie, che sono più rigidi, meno deformabili e più fragili e che vengono precocemente distrutti nella milza. Questa loro particolare forma è causata da una carenza nelle proteine del citoscheletro denominate “banda 3”, “alfa- o beta-spettrina” o “anchirina” dovuta a mutazioni genetiche nei rispettivi geni (EPB3, SPTA1, SPTB, ANK1).

La SE è una patologia rara e la sua prevalenza è di circa 1-5 casi/10.000 nella popolazione bianca del Nord Europa.

Nella maggioranza delle famiglie affette, la SE è trasmessa come un carattere autosomico dominante, in altri casi come autosomico recessivo e nel 25-35% dei casi la malattia è causata da mutazioni “de novo”.

I sintomi

La SE si accompagna ad anemia emolitica cronica di gravità variabile. Nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta con i sintomi dell’ anemia: pallore, stanchezza, affanno e palpitazione; altre manifestazioni cliniche sono ittero, splenomegalia e colelitiasi.

La sintomatologia clinica è spesso più grave nel primo anno di vita, e tende a migliorare nell’ adolescenza e in età adulta.

I pazienti con la forma lieve sono spesso asintomatici e la malattia viene diagnosticata sulla base di studi famigliari o per la presenza di moderata splenomegalia o di colelitiasi. In tali soggetti può comparire un peggioramento dell’emolisi in presenza di infezioni, di gravidanza o anche di importanti sforzi fisici. L’infezione da Parvovirus, per esempio,  può causare un’ aplasia reversibile, che può essere l’evento che svela la malattia.

La diagnosi

La SE viene diagnosticata sulla base della storia clinica e famigliare, dell’esame obiettivo (splenomegalia, pallore ed ittero) e sulla base degli esami di laboratorio: conteggio completo dell’emocromo, presenza di sferociti nello striscio di sangue periferico, conta dei reticolociti, bilirubinemia, negatività del test diretto all’antiglobulina, determinazione dell’aptoglobinemia e valutazione dello stato del ferro. La conferma diagnostica viene data dai test di fragilità osmotica degli eritrociti, dallo studio delle proteine di membrana (SDS-PAGE), dall’analisi in citofluorimetria del legame della eosina 5-maleimide (EMA-binding), e dallo studio della deformabilità della membrana eritrocitaria mediante ectacitometria.

La terapia

La terapia con folati è raccomandata per compensare la carenza di acido folico dovuta all’emolisi cronica. Nei pazienti con forme di anemia grave possono rendersi necessarie trasfusioni, in particolare nei primi anni di vita per permettere il normale sviluppo e la crescita, e durante le crisi aplastiche e/o emolitiche.

Nelle forme più gravi, è consigliata, a partire dai 7-8 anni di vita, la splenectomia (asportazione della milza). La splenectomia non corregge il difetto, ma elimina il sito ove si verifica l’emolisi. Dopo la splenectomia l’emolisi si riduce e nella maggior parte dei casi si ottiene la guarigione completa dell’anemia; vi saranno sempre sferociti ma non verranno distrutti e quindi la sopravvivenza di tali cellule sara’ normale.

Deve però essere tenuto in seria considerazione il rischio di infezioni, perciò i pazienti splenectomizzati devono sottoporsi a cicli di vaccinazioni verso lo pneumococco, l’emofilo influenzae di tipo B e verso la Neisseria meningitis.

Il sovraccarico di ferro e’ una complicanza frequente nei soggetti trasfusi.