GUIDA PRATICA PER IL PAZIENTE CON DEFICIT DI PIRUVATO CHINASI ERITROCITARIA
A cura dell’ U.O. Ematologia, U.O.S. Fisiopatologia delle Anemie
Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Identikit del deficit di piruvato chinasi
La carenza di piruvato-chinasi (PK) :
- È il difetto enzimatico più comune della glicolisi
- si trasmette come carattere autosomico recessivo, cioe’, sebbene i genitori non presentino alcun sintomo clinico, possono trasmettere la malattia ai figli.
- si manifesta come anemia emolitica da moderata a molto grave
- ha una distribuzione geografica omogenea; dalla sua prima descrizione nel 1961 sono stati riportati in letteratura oltre 400 casi (ma molti sicuramente non sono stati riportati in letteratura)
- e’ una malattia rara; la sua prevalenza stimata nella popolazione di razza bianca è di 1 caso su 20.000.
- E’ causata da una alterazione del gene PKLR localizzato sul cromosoma 1
Perche’ insorge anemia
Il globulo rosso trae energia da due principali vie metaboliche, la glicolisi anaerobia, o ciclo di Embden-Meyerhof, e lo shunt dell’esosomonofosfato, o ciclo dei pentosi.
Nella glicolisi il glucosio viene metabolizzato attraverso una serie di reazioni biochimiche catalizzate da singoli enzimi, generando due molecole di ATP per ogni molecola di glucosio. L’ATP fornisce l’energia necessaria per il mantenimento della forma e della flessibilità dell’eritrocita, nonché dell’equilibrio osmotico e di altre funzioni metaboliche della cellula.
Alterazioni degli enzimi della via glicolitica creano un “blocco“ nella glicolisi compromettendo in modo permanente le risorse energetiche della cellula dando luogo ad anemia emolitica cronica.
I sintomi
Il deficit di PK si accompagna ad anemia emolitica cronica di gravità estremamente variabile da caso a caso. Nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta con i sintomi dell’anemia: pallore, stanchezza, affanno e palpitazione.
I sintomi soggettivi e la loro intensità sono in rapporto ai livelli di emoglobina. Il blocco metabolico indotto dal difetto di PK determina un aumento fino a tre volte dei livelli di un altro enzima della glicolisi, il 2,3-DPG (2,3-difosoglicerato). La presenza di questo enzima aumenta il rilascio di ossigeno da parte del globulo rosso ai tessuti; di conseguenza, i pazienti con anemia da carenza di PK presentano una tolleranza all’esercizio fisico maggiore di quanto atteso in rapporto al grado di anemia.
Oltre all’anemia, altre manifestazioni cliniche sono ittero e splenomegalia (quest’ultima usualmente contenuta). In alcuni casi i sintomi possono essere così sfumati da venire occasionalmente rilevati solo in età adulta; in altri casi possono essere tanto gravi da richiedere multiple trasfusioni fin alla nascita. Infatti, l’ittero neonatale patologico è riferito in circa 1/5 dei pazienti, e non è rara la necessità di supporto trasfusionale continuativo, soprattutto nell’età infantile. L’anemia tende a migliorare nell’adolescenza e, nella maggior parte dei casi, si assesta in età adulta, sebbene esacerbazioni occasionali possono verificarsi in concomitanza di infezioni acute o durante la gravidanza.
La diagnosi
Un semplice prelievo di sangue permette di verificare la presenza di anemia e, in laboratori specializzati, può essere effettuato il dosaggio dell’ attività enzimatica della piruvato chinasi.
Vengono osservati i seguenti parametri ematologici:
– il livello di emoglobina è compreso tra i 5 g/dL e i 13 g/dL, con valori mediani intorno ai 10 g/dL
– il numero di reticolociti è costantemente aumentato, in particolare se il paziente è stato sottoposto ad asportazione della milza (splenectomia).
– la morfologia eritrocitaria può presentare alterazioni lievi, ma non specifiche della carenza enzimatica.
– il livello di bilirubina indiretta nel sangue è aumentato (iperbilirubinemia) e il livello di aptoglobina ridotto.
– il livello di ferritina sierica e la saturazione della transferrina appaiono aumentati in molti pazienti in rapporto sia alle trasfusioni ricevute che all’intensità dell’emolisi. E importante monitorare nel tempo un eventuale accumulo di ferro.
– l’attività enzimatica della piruvato chinasi eritrocitaria risulta ridotta (determinazione quantitativa mediante tecniche spettrofotometriche)
– La biologia molecolare consente oggi di confermare la diagnosi identificando il difetto genetico, molto eterogeneo. Le mutazioni più frequentemente riscontrate nella razza bianca sono la mutazione 1529A (Arg510-Glu) e la 1456T (Arg486-Trp).
Il decorso
Il corso della malattia è molto variabile. Nella maggior parte dei casi i pazienti imparano a vivere con il deficit di PK e conducono una vita attiva con scarsa interferenza nelle relazioni familiari, sociali, lavorative. In casi più rari, la necessità di frequenti controlli medici e trasfusioni o l’insorgere di complicanze possono peggiorare la qualità della vita.
Le complicanze
Il decorso della malattia, nei casi tipici, è quello di un’anemia emolitica cronica con transitori episodi iperemolitici (più frequenti nell’infanzia, in occasione di fatti infettivi) e più raramente eritroblastopenici (crisi aplastiche), spesso associati a infezioni da parvovirus B19.
Nell’età adulta si rileva con una certa frequenza la comparsa di calcoli nella colecisti (colelitiasi); rare sono le ulcere malleolari. Il sovraccarico di ferro è una complicanza frequente riscontrandosi, non solo nei soggetti trasfusione-dipendenti, ma anche in una certa proporzione di pazienti non trasfusi, con emolisi vivace.
La Terapia
Allo stato attuale, la carenza di PK è trattata con terapie di supporto, cioè terapie che non fanno guarire, ma attenuano i sintomi, riducono le complicanze e migliorano la qualità della vita.
Le trasfusioni sono spesso utilizzate durante i primi mesi di vita. Il fabbisogno trasfusionale è molto variabile poiché il grado di anemia e i sintomi ad essa associati differiscono da individuo ad individuo. Molti pazienti con carenza di PK non avranno mai bisogno di una trasfusione o richiederanno trasfusioni occasionali durante crisi emolitiche dovute ad infezioni o a crisi aplastiche associate a infezione da parvovirus; altri pazienti necessiteranno di trasfusioni regolari. Un effetto collaterale delle trasfusioni è il sovraccarico di ferro e i pazienti che ricevono regolarmente trasfusioni devono essere sottoposti a terapia di ferro-chelazione.
L’asportazione chirurgica della milza (splenectomia) migliora parzialmente l’anemia nella maggior parte dei pazienti riducendo la necessità di trasfusioni nel 90% di casi e annullando del tutto il fabbisogno trasfusionale nell’80%. Tuttavia, in quasi tutti i pazienti, persiste un certo grado di emolisi caratterizzata da lieve anemia, reticolocitosi e iperbilirubinemia indiretta.
E’ importante sottolineare che la splenectomia aumenta il rischio di contrarre infezioni batteriche gravi (Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Neisseria meningitidis e Capnocytophaga canimorsus), che possono essere prevenute con adeguate vaccinazioni e profilassi antibiotica somministrata alla prima comparsa di febbre. Tuttavia, a causa di questi elevati rischi infettivi, la splenectomia dovrebbe essere evitata del tutto o preferibilmente ritardata fino ad almeno 5 anni di vita.
La somministrazione profilattica di acido folico (1mg/die) è consigliata per compensare l’aumentato fabbisogno di tale vitamina indotto dal più rapido turnover cellulare.
Attulamente è in atto uno studio a livello mondiale che prevede l’utilizzo di farmaco attivatore della piruvato chinasi, denominato AG-348. I risultati preliminari dimostrano che circa la metà dei pazienti trattati ha un aumento medio dell’emoglobina di >1.0 g/dL ed un miglioramento degli indici di emolisi (diminuzione della lattato deidrogenasi e della iperbilirubinemia, aumento dell’aptoglobina).
Infine, negli ultimi anni è in attivo sviluppo un interessante progetto di terapia genica potenzialmente in grado di guarire la malattia. Ugualmente curativa è l’opzione di trapianto di cellule staminali di cui sono stati riportati alcuni casi in letteratura.