GUIDA PRATICA PER IL PAZIENTE CON ANEMIA DISERITROPOIETICA CONGENITA
A cura dell’ U.O. Ematologia, U.O.S. Fisiopatologia delle Anemie
Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Le anemie diseritropoietiche congenite (CDA, Congenital Dyserythropoietic Anemias in inglese) sono malattie del sangue riconosciute per la prima volta nel 1969.
In Italia si conoscono al momento circa 150 pazienti che ne sono affetti. Essendo disturbi estremamente rari, è possibile che non siano conosciuti dai medici di famiglia, dai pediatri e dai medici di medicina interna non specializzati in ematologia, cioè nella branca della medicina che studia le malattie del sangue. Forse, invece, il Suo medico si è già messo in contatto con un centro ematologico di riferimento per conoscere meglio la Sua malattia, oppure ha svolto qualche ricerca per proprio conto.
Le CDA sono un gruppo di diverse malattie del sangue, che sono state unificate sotto lo stesso nome in quanto i pazienti che ne soffrono presentano caratteristiche cliniche simili tra loro. L’intensità dei sintomi, però, può essere molto diversa da persona a persona. Ci sono, infatti, pazienti costretti a ricevere trasfusioni di sangue fin dalla nascita o dall’infanzia, mentre altri sono semplicemente un po’ pallidi e deboli. In quasi tutti, però, si nota fin da bambini un colorito leggermente giallastro della pelle o delle sclere (la parte bianca degli occhi), e una maggiore tendenza a stancarsi facilmente.
In Italia sono presenti 3 tipi anemie diseritropoietiche congenite. Il tipo II è appena un poco più frequente, il tipo I è raro e il tipo III è addirittura eccezionale. La CDA II è nei paesi del Mediterraneo (Grecia, Spagna, Turchia) generalmente più frequente che nel Nord Europa; per gli altri sottotipi la frequenza è invece più o meno simile.
Le informazioni che qui può trovare sono relative sia al tipo I che al tipo II.
Le CDA sono malattie congenite, ovvero presenti in un individuo fin dalla nascita; sarebbe però più corretto definirle ereditarie, ovvero trasmesse di generazione in generazione attraverso i geni.
Per spiegare il meccanismo che sta alla base di una malattia di questo tipo, bisogna sapere che ogni persona possiede di ogni gene due copie, una proveniente dal padre e una dalla madre; solo uno dei due geni viene a sua volta trasmesso ai figli, di volta in volta l’uno o l’altro per ragioni casuali. La malattia si verifica quando un figlio eredita un gene malato sia dal padre che dalla madre. I genitori di un paziente, quindi, non sono in genere affetti da CDA ma portatori di un gene malato che a sua volta hanno ereditato senza saperlo e senza che questo desse segno di sé, dal momento che era accompagnato da un gene sano. Proprio per ragioni genetiche, quindi, è possibile invece che il fratello o la sorella di una persona malata siano a loro volta affetti dalla malattia. I pazienti con CDA possono normalmente avere figli; per quanto spiegato in precedenza, i figli di un paziente malato non sono malati, ma solo portatori del gene. L’unica eventualità che un figlio possa essere malato è che lo siano entrambi genitori, o che uno sia malato e uno sia portatore; data la rarità della malattia, però, si tratta di casi eccezionali.
Per “Anemia” si intende una carenza di Emoglobina, ovvero di quella proteina che ha la funzione di trasportare l’ossigeno ad organi e tessuti attraverso il sangue. L’emoglobina è normalmente contenuta nei globuli rossi, che sono a loro volta prodotti nel midollo osseo. L’anemia si definisce “diseritropoietica” quando i globuli rossi vengono prodotti in modo inadeguato dal midollo osseo. Nelle CDA questo fenomeno è causato dalla presenza nei globuli rossi del gene malato. I globuli rossi “difettosi” possono essere distrutti subito nel midollo osseo, oppure entrare nel circolo sanguigno ed essere catturati ed eliminati dalla milza, che è quell’organo che in condizioni fisiologiche distrugge e “ricicla” i componenti dei globuli rossi vecchi. La conseguenza di tutto questo è una carenza globale di emoglobina, che si definisce appunto “anemia”.
Inoltre, in questo tipo di anemia come in altre anemie dette “emolitiche” può succedere che l’emoglobina rilasciata dai globuli rossi morti, si trovi libera nel sangue, formando la cosiddetta “bilirubina” e determinando il colore giallastro della pelle e degli occhi (Ittero). I sintomi classici dell’anemia sono debolezza, facile affaticabilità, palpitazioni (cuore che batte con velocità maggiore), dispnea (ovvero senso di “fiato corto”), a riposo ma soprattutto durante uno sforzo.
Altre caratteristiche specifiche di questo tipo di anemia sono:
- Rischio di formazione di calcoli alla colecisti (cistifellea) dovuti all’accumulo di bilirubina, a volte anche in età infantile o giovanile. I calcoli possono provocare coliche, oppure possono dover essere rimossi dal chirurgo.
- Improvviso peggioramento dell’anemia e dei suoi sintomi in concomitanza con infezioni causate da virus (soprattutto da “Parvovirus” B19).
- Accumulo di ferro (normalmente contenuto nell’emoglobina) in tutto il corpo, soprattutto nel fegato, nel cuore, nel pancreas e nelle ghiandole che producono ormoni. Questa condizione, detta “emocromatosi” o ”emosiderosi” può potenzialmente essere pericolosa e gli organi affetti possono funzionare male.
- Ingrossamento della milza e, in minor misura, del fegato. La milza si ingrossa sia perché la sua funzione di distruggere i globuli rossi difettosi è molto stimolata, sia perché la milza stessa cerca a sua volta di produrre cellule del sangue.
- Formazione di ulcere a livello delle gambe
- Formazione di cosiddette “isole di tessuto emopoietico”, ovvero di tessuto che tenta di produrre globuli rossi, fuori dal midollo osseo (tipicamente nei polmoni e vicino alla colonna vertebrale) Queste formazioni possono essere trovate per caso, ad esempio quando si esegue una radiografia del torace. Nonostante possibili complicazioni qui descritte, i pazienti affetti da anemie diseritropoietiche congenite, se curati adeguatamente, vivono tanto a lungo quanto le altre persone, e nel complesso godono di una buona qualità di vita. Le donne affette da CDA possono affrontare normalmente una gravidanza, ma è consigliabile che in questa fase siano anche seguite da un ematologo specialista di queste patologie.
Ovviamente per poter curare bene le CDA è fondamentale diagnosticarle in modo corretto, e identificarne anche il sottotipo. Questo si può fare attraverso una serie di test che si eseguono sul sangue in laboratori specializzati. A volte, ma non sempre, può essere utile eseguire anche un esame del midollo osseo.
Dopo aver accertato la diagnosi si può procedere alla terapia. Alcuni pazienti non Hanno bisogno di cure speciali ma solo di eseguire controlli regolari dal medico curante e dell’ematologo; per altri, invece, possono essere necessarie delle periodiche trasfusioni di sangue, oppure possono essere prescritti dei farmaci per favorire la produzione di globuli rossi o per diminuire la quantità di ferro nel sangue.
In alcuni casi, infine, potrebbe essere necessario togliere la milza attraverso un intervento chirurgico. Se dovesse essere necessario iniziare una cura, o togliere la milza, il suo medico di famiglia ed il suo ematologo Le spiegheranno meglio di cosa si tratta, perché si deve eseguire e quali sono i vantaggi ed i possibili effetti collaterali.